Il problema non è tanto avercela con i cacciatori perché ammazzano i sempre più rari uccellini (che comunque ammazzano sul serio).
E non è neppure avercela con i cacciatori perché non rispettano le distanze imposte dalla legge, distanze che, in un Paese cementificato e antropizzato come l’Italia, non hanno alcuna speranza di essere osservate. Chiunque frequenti le campagne d’Italia, infatti, sa bene che case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro, strade, ferrovie, macchine agricole in funzione, mandrie, greggi e branchi (e cioè tutti gli “ostacoli” da cui per legge i cacciatori dovrebbero tenersi alla larga) si intrecciano e coesistono a distanze ben inferiori a quelle stabilite in via normativa. Con la conseguenza che i cacciatori, nel momento in cui sparano, si pongono automaticamente, quasi sempre, al di fuori della legge.
Il problema vero è che la caccia minaccia direttamente, mese dopo mese, anno dopo anno, la salute nostra, dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Non ci credete? 17.500 tonnellate di piombo – contenuto nei 500 milioni di cartucce sparate ogni anno da cacciatori – vengono disperse sui terreni e finiscono nelle falde acquifere, oltreché, in prima battuta, nelle cisterne di acqua potabile. Ma non basta, perché, sugli stessi terreni, finisce ogni anno una quantità di plastica (l’involucro delle cartucce, che una volta era costituito da cartone biodegradabile) da far invidia a quella delle isole di pvc galleggianti negli oceani.
Che fare, dunque, per salvaguardare la nostra salute?
Andiamo a votare al referendum e aboliamo la caccia.