La prima cosa che mi è venuta in mente alla notizia che negli USA, ai tempi del Coronavirus, è diventato di moda allevare pulcini è il titolo di un noto manuale di ornitologia, pubblicato in Italia nel 1965 e ripreso pari pari una ventina di anni dopo da un famoso scrittore milanese. Notizia, quella dei pulcini, che fa scopa con l’altra, tutta italiana, relativa all’incremento del 95% delle vendite della farina, che ci ricorda come il pane, la pizza, la pasta e i dolci si possono fare anche in casa, invece di comprarli al supermercato.
Primi, timidi passi verso forme di autoproduzione e autoconsumo, e dunque di autosufficienza alimentare (per non parlare di quanti coltivano l’orto!), queste scelte potrebbero innescare virtuose reazioni a catena capaci in prospettiva, perché no, di sdoganare la parola “autarchia”, che a tutt’oggi in Italia sconta un grosso pregiudizio e una grossa colpa.
Il pregiudizio che circonda l’autarchia è dovuto al fatto che la parola è stata “inventata” durante il Ventennio, quando il Regime cavalcò il risentimento degli italiani nei confronti delle sanzioni adottate contro il nostro Paese dalla Società delle Nazioni (in ragione dell’aggressione fascista all’Etiopia) e convogliò strategicamente quel risentimento verso la valorizzazione esclusiva delle risorse nazionali. L’obiettivo era quello di rendere l’Italia autosufficiente e, quindi, economicamente indipendente dai Paesi stranieri e i risultati raggiunti furono insperati, e sbalorditivi, sul piano scientifico, tecnologico, industriale e artigianale. L’autarchia, infatti, favorì la creazione di un vero e proprio laboratorio di idee, che non solo stimolò l’invenzione e lo sviluppo di materiali e manufatti di straordinaria ingegnosità (dalle fibre Lanital, al carburante Robur, al legno Masonite), ma che sotto certi aspetti anticipò la green economy di cui tanto si parla oggi, in quanto espressione di un’etica che colloca al primo posto la ricerca di soluzioni alternative allo sfruttamento dissennato delle materie prime e dunque, di fatto, la salvaguardia dell’ambiente.
La colpa che sconta l’autarchia, invece, è semplicemente quella di collocarsi culturalmente e ideologicamente all’opposto della globalizzazione degli scambi commerciali e dei mercati finanziari. In altre parole, in un mondo globalizzato e interconnesso, come quello in cui molti sono contenti di vivere (almeno fino all’avvento del Coronavirus), volere essere autarchici vuol dire essere antichi o superati o, addirittura, sovversivi. Nella prospettiva globalista, inoltre, l’autarchia si sposa con quel neologismo che certa politica e certa stampa hanno creato e diffuso ad arte negli ultimi anni, e cioè il “sovranismo”, che criminalizza strumentalmente il concetto di sovranità (cui gli stati non possono rinunciare a meno di voler soccombere) e che qualcuno utilizza tout court come una parolaccia.
Ecco quindi che, in barba all’isolamento indotto dal Coronavirus, pulcini ruspanti, pasta fatta in casa e verdure dell’orto rischiano di trasformarsi in una seria minaccia nei confronti degli equilibri consolidati su cui si fonda la società contemporanea, costituiti essenzialmente dal liberismo economico e dal capitalismo finanziario benedetti – senza remore né esitazioni – dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, dall’Unione europea e chi più ne ha più ne metta.
A questo punto vi chiederete: cosa c’entrano con tutto ciò gli uccelli da gabbia e da voliera? Ecco, ora mi spiego: i primi sono quelli che, muniti di un robusto paio di paraocchi, acriticamente condividono il pregiudizio e avallano la colpa di cui sopra, e che quindi sono felici di passare la propria vita in gabbia; i secondi, invece, sono quelli che, sforzandosi di volare più in alto, non rinunciano all’idea di sgusciare tra le sbarre per vedere cosa c’è fuori della voliera.
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