Una delle fastidiose domande rivolte a chi critica, si oppone o addirittura si ribella alla versione ufficiale e monolitica della cosiddetta crisi pandemica è: “e tu, cosa avresti fatto?”.
Questa domanda sottintende che: 1) quando si governa le decisioni bisogna prenderle, ed è troppo facile criticare…; 2) chi è contro qualcosa è per principio un “bastian contrario” che ha la testa tra le nuvole e che è facile mettere alle corde di fronte a problemi concreti; 3) anche il dibattito sulla presunta pandemia deve essere misurato con il metro del confronto politico tra governi e opposizioni, maggioranze e minoranze, destra e sinistra, ecc.
Ora, io potrei benissimo rispondere, accettando questo riduzionismo, che cosa avrei fatto al posto di questi pericolosi fanatici al potere: incominciando da ciò che proprio non avrei fatto e concludendo con qualche risposta di buon senso. Ma se io assecondassi questa dialettica semplicistica, renderei la vita troppo facile a chi mi pone la domanda.
Piuttosto che cadere in questo trabocchetto che si fa beffe della posizione che io assumo consapevolmente (e per cui pago pesantemente in prima persona), voglio ribadire che tale domanda mostra tutti i limiti dei pregiudizi che la accompagnano.
Perciò, alle orecchie di chi sostiene che dietro la questione pandemica c’è una strategia ispirata a un disegno di natura totalitaria volto ad instaurare forme biopolitiche di sorveglianza di Stato, la domanda in questione non può che suonare come “C’era forse un’alternativa alla discriminazione?” o, se preferite, “E tu che alternativa vedevi al totalitarismo?”.
Vale cioè la pena di rispondere al leone che, mentre ti sbrana, ti domanda come mai non sei d’accordo con lui?