Ho salvato due cuccioli dal cassonetto. Due batuffoli di pelo, con delle zampotte enormi, lasciati a morire sotto il sole in una cassetta di legno chiusa con il fil di ferro e una rosetta di pane, ultima vestigia di pietà dei loro carnefici.
Sono a casa, ora: sverminati e ripuliti, mangiano, bevono, corrono, ridono, pisciano e cagano in giardino: sono vivi.
E restituiscono moltiplicato per 10, in termini di gioia e di buon umore, quel poco che faccio per loro: preparare riso, carne e carote due volte al giorno e coccolarli un po’.
Li terrò, ovviamente, anche se per il momento non vanno d’accordo con l’altro mio cane, una signora d’altri tempi, sognatrice e un po’ ritrosa, e anche se sembrano destinati a diventare due cagnoni pelosi di oltre 30 chili. Ma non me la sento di portarli al canile, non me la sento di alimentare il circuito del becero profitto sulla vita di esseri innocenti, destinati a restare in un lager dalla nascita alla morte, non me la sento di separarli: pensate che la femmina mi ha morso (!) per difendere il fratello, appena ho provato a ripulirlo un po’.
Chi li ha abbandonati? Molto probabilmente quei simpatici galantuomini cui piace definirsi “amanti della natura” e che ammazzano indistintamente uccelletti e cucciolotti, i primi per diletto e i secondi per vocazione, nella misura in cui si rivelino soprannumerari o inadatti al riporto delle prede. Sì, sto parlando proprio dei cacciatori: ossia di quei signori, chiamiamoli così, che se ne vanno per i terreni altrui, cinque mesi l’anno, a seminare plastica e piombo, sigarette e spazzatura, minacciando e terrorizzando inermi proprietari e attoniti turisti.
E’ anche per questo che non auguro del bene a chi ha abbandonato quei cucciolotti sotto il sole e con un rosetta di pane: anzi, auguro di trovare qualcuno o qualcosa che gli faccia veramente del male, così che forse, un giorno, potranno in coscienza chiedere perdono ai cuccioli, agli uccelletti e agli altri animali per il male che hanno fatto loro.