Si parla moltissimo di alimentazione, e di cucina, e pochissimo di agricoltura, come se i consumatori dovessero abituarsi all’idea che il cibo cali dal cielo, come la biblica manna, e si materializzi direttamente nei supermercati o (in televisione) tra le mani di chef più o meno famosi.
In effetti, se si guarda con attenzione all’evoluzione della politica agricola comunitaria (la tanto controversa PAC) ed al parallelo sviluppo dell’agro-industria europea, questo risultato potrebbe costituire un effetto non del tutto indesiderato, o imprevedibile, sul piano culturale: e l’annunciato arrivo sulle tavole dei consumatori (in Europa come nelle USA) di carne e latte prodotti sinteticamente, o addirittura derivati da animali clonati, costituirà la tappa finale di questo percorso, che parallelamente svuoterà di contenuto la qualifica di “settore primario dell’economia” tradizionalmente riconosciuta all’agricoltura.
Del resto, sono quasi vent’anni che i cittadini italiani e europei non sanno ciò che mangiano, con buona pace di Feuerbach. Prendiamo gli OGM, ad esempio: se qualcuno fosse ad essi contrario per ragioni culturali, ideologiche, confessionali, religiose o addirittura politiche – e quindi non per ragioni “scientifiche”, visto che fino ad oggi nessuno ha dimostrato né che gli OGM facciano male, né che non lo facciano (stupefacente, non è vero?) – si metta pure l’animo in pace, perché è dal 2003, e cioè ormai da 16 anni, che la normativa europea permette di commercializzare prodotti alimentari contenenti o derivati da OGM senza che il consumatore possa conoscere l’eventuale presenza, in questi prodotti, di materiale geneticamente modificato.
La condizione posta dalla normativa europea per l’etichettatura “in negativo” (in altri termini: reticente) è che il materiale geneticamente modificato non ecceda lo 0.9% del prodotto alimentare in questione. E quindi qualcuno dirà: che male vuoi che faccia una percentuale così bassa di OGM? Ma questo è proprio ciò che, in assenza di evidenze scientifiche obiettive e fondate, milioni di consumatori europei si chiedono da anni, prima di sedersi a tavola, senza ottenere risposta.
E c’è di più: la logica che supporta questa sciagurata politica normativa è che la contaminazione, intenzionale o accidentale, tra prodotti alimentari “tradizionali” e prodotti OGM sarebbe ormai inevitabile, tenuto conto del processo di globalizzazione dei mercati. Pensate alla difficoltà di mantenere separate le linee di produzione, trasporto, stoccaggio, distribuzione e trasformazione del grano che è alla base della pasta che mangiamo tutti i giorni: dal campo dove è coltivato, alla mietitrebbiatrice che lo raccoglie, al nastro trasportatore che lo convoglia verso il silos dove sarà stoccato, alla stiva della nave e poi al container che lo trasporteranno fino al luogo di trasformazione da materia prima in prodotto finito, quante occasioni ha un grano “tradizionale” di essere contaminato da un grano OGM? E quindi – potrebbe chiedervi un ineffabile rappresentante del mondo industriale – quanto costerebbe mantenere linee di produzione separate[1]?
Che è un po’ come obbligarvi a mangiare una cosa che potrebbe farvi male, o non farvi bene, solo per permettere a qualcuno di risparmiare (e cioè di guadagnare sulla vostra pelle). Di fronte ad una esaltazione così smaccata della logica mercantilistica, e di fronte ai regolamenti dell’Unione europea che la legittimano[2], anche chi non è cattolico praticante non può fare a meno di ricordare Gesù che caccia a frustate i mercanti dal Tempio (e se si pensa che lo stesso Gesù sarà capace di perdonare dalla Croce i propri carnefici, vuol dire che i mercanti se lo meritavano proprio)[3]. E, già che l’abbiamo citata in apertura, vale la pena di concludere ricordando ancora una volta una fonte di grande importanza storica e antropologica, prima che religiosa, e cioè la Bibbia, secondo cui, al sesto giorno della creazione, Dio disse ad Adamo e Eva: “Vi do tutte le piante con il proprio seme, tutti gli alberi da frutta con i propri semi. Cosi avrete il vostro cibo”[4].
Il cibo dell’uomo, appunto, che oggi i blog di cucina chiamano, bontà loro, “superfood”.
(riproduzione vietata)
[1] Che è proprio quanto accadeva prima che l’Unione europea sdoganasse la “coesistenza” tra colture tradizionali, biologiche e OGM. In proposito, si parlava di “segregazione colturale”.
[2]Cfr. i regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio nn. 1829 e 1830 del 2003.
[3]Cfr. Marco 11, 7-19; Matteo 21, 8-19; Luca 19, 45-48; Giovanni 2, 12-25.
[4]Cfr. Genesi, 1.23.