Per quei pochi italiani che ancora non lo sapessero, la Xylella è un batterio che una parte della comunità scientifica ritiene responsabile di una malattia degli olivi denominata “Complesso del disseccamento rapido” (CoDiRo). Pur in assenza di evidenze scientifiche definitive, che provino in modo inequivocabile e al di là di ogni ragionevole dubbio il rapporto di causa-effetto tra Xylella e CoDiRo, la normativa europea e italiana condannano all’eradicazione gli olivi colpiti dalla Xylella, indipendentemente dal loro stato di salute e, soprattutto, dal fatto che abbiano sviluppato o meno il CoDiRo.
Qualcuno si chiederà: cosa c’entra la Xylella con il COVID? C’entra, c’entra.
Diciamo che l’una e l’altro hanno scoperchiato una volta per tutte, più di altre problematiche finora portate all’attenzione dell’opinione pubblica (chi ricorda più il dibattito sulla clonazione?), il vaso di Pandora della produzione, dell’attendibilità e della visibilità dei dati scientifici. O se preferite diciamo che Xylella e COVID stanno offrendo a ciascuno di noi l’occasione per riflettere sulle ragioni e gli scopi meno apparenti di una parte massiccia dell’attività di ricerca scientifica, che spesso consistono – secondo una logica autoreferenziale – nell’attrazione di finanziamenti, nell’istituzione di corsi di laurea, nell’assunzione di ricercatori, nella creazione di cattedre, nell’accreditamento di riviste scientifiche. O se preferite diciamo che tanto il batterio quanto il virus in questione stanno mostrando come e in quale misura la scienza e gli scienziati si prestano a essere utilizzati per legittimare scelte politiche e decisioni normative ispirate da esigenze e finalità che si collocano al di là, e al di fuori, di evidenze scientifiche più o meno controverse e contestate.
O se preferite diciamo ancora che Xylella e COVID stanno rivelando alla società civile, in due campi di straordinaria rilevanza collettiva (l’autonomia alimentare, da una parte, la sicurezza sanitaria, dall’altra), cosa può accadere ad una comunità quando le evidenze scientifiche vengono manipolate e strumentalizzate per perseguire interessi e finalità particolari.
Facciamo un esempio? Se l’approccio sopra descritto in materia di Xylella (e cioè l’eradicazione degli olivi in presenza del solo batterio e non del disseccamento) fosse esteso al COVID, ne deriverebbe che i soggetti infetti (positivi, asintomatici, paucisintomatici e chi più ne ha più ne metta) andrebbero soppressi in quanto tali, indipendentemente dal loro stato di salute e dal fatto che svilupperanno, o meno, polmoniti o altre patologie più o meno gravi.
Una prospettiva mostruosa e irrealizzabile, certo, per qualche benpensante. Ma forse il nostro benpensante cambierebbe idea se andasse a vedere ciò che si sta proponendo in questi giorni in Svizzera, dove, secondo quanto riportato da un quotidiano italiano, i “medici esortano i pazienti a rischio (COVID, ndr) a decisioni su fine vita”: e cioè a scegliere l’eutanasia.
Chissà cosa (non) faranno in Svizzera ai “negazionisti”.