Poiché non sono mai stato quello che si dice un fervente cattolico, rimasi abbastanza perplesso quando, nel lontano 2004, fui invitato a tenere una relazione davanti all’allora cardinale Ratzinger.
Forse mi invitarono per le cose che dicevo e scrivevo, già allora, contro quella macchina divoratrice della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo che si chiama Unione europea: cose che, all’epoca, nessuno si azzardava a dire o a scrivere, a meno di non volere essere considerati retrivi e oscurantisti (come espressamente disse di me il Corriere della Sera) e di non volere farsi ostracizzare dai salotti europeisti, liberisti, progressisti, buonisti, solidaristi, politicamente corretti e intellettualmente corrotti che tutti conosciamo.
E’ vero che nei primi anni Duemila, all’indomani dell’entrata in vigore dell’euro, schierarsi contro la mercificazione dell’essere umano promossa dall’Unione europea era praticamente un’eresia, un po’ come schierarsi un paio d’anni fa contro il presunto vaccino anti-Covid (e posso dirlo a ragion veduta): ma tutto sommato, almeno per me, non si trattava di una posizione così rivoluzionaria, visto che proprio in quegli anni stava per essere scoperchiato il vaso di Pandora della cosiddetta rivoluzione biomedica, che avrebbe messo in luce tutti i rischi per la dignità e diritti dell’uomo derivanti dai progressi della biologia e della medicina.
Mappatura del genoma umano, clonazione, ricerca sulle cellule staminali, nanotecnologie, biorobotica: la tanto celebrata “rivoluzione biomedica” parte proprio tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila e non è un caso che nel 1997 fosse stata firmata, anche dall’Italia, la Convenzione di Oviedo sulla biomedicina, che fin dal titolo metteva in guardia circa i rischi per l’integrità psico-fisica dell’essere umano derivanti dall’applicazione delle nuove tecnologie in campo biomedico.
Questi rischi sono proprio quelli contro i quali metteva in guardia Ratzinger (e prima di lui Wojtyla e prima di lui Illich): e questo atteggiamento di presunta diffidenza nei confronti della ricerca scientifica gli viene rinfacciato oggi – ovviamente post mortem – da una nota testata liberista, globalista e transumanista, che peraltro, così facendo, continua ad alimentare la confusione tra “scienza” e “tecnologia”.
Va da sé che chi legge quella rivista è ben lieto di farsi confondere le poche idee che ha; ma è stupefacente che ci sia ancora qualcuno che abbocchi alla favoletta della “ricerca scientifica” e che non abbia ancora preso coscienza del coacervo di interessi tecnologici, industriali, finanziari, economici, accademici, culturali, comunicativi e politici che si nascondono dietro e sotto di essa.
Come se la vicenda Covid fosse passata invano.