Oggi si celebra la 50ma giornata della Terra. Sulle piattaforme telematiche e sui siti più sensibili all’argomento, si parla a più non posso dell’importanza dell’insetto pronubo per eccellenza, l’ape, e di come proteggerlo dai pericoli che minacciano la sua esistenza preziosa per l’ambiente e per l’uomo.
Peccato, però, che in questa massa “social” di celebrazioni, informazioni e commiserazioni (povere, povere api!) i siti in questione omettano di ricordare, con il pudore tipico di chi è culturalmente orientato, l’unica vera ragione della progressiva estinzione delle api: e cioè l’impiego massiccio di diserbanti e insetticidi chimici, i famosi fitofarmaci di cui si nutre fin dagli anni Cinquanta l’agricoltura intensiva (o, se preferite, “di rapina”) in Italia come nel resto del mondo.
E non solo l’agro-industria: anche il mio vicino, nel suo piccolo, è fiero di mostrare il suo uliveto “pulito pulito”, come dice lui, già pronto per le operazioni autunnali di raccolta perché non ci cresce un filo d’erba, neanche a pagarlo oro, da almeno quindici anni: ciò che gli permette di risparmiare tempo e denaro al momento giusto e, quindi, di massimizzare il profitto. Ora, la qualità (e immaginatevi la salubrità) delle olive del mio vicino, e dell’olio ricavato da quelle olive, è un problema suo (e di quei poveretti che glielo comprano). Ma diventa anche un problema mio quando le cattive pratiche del mio vicino – e di centinaia di migliaia di altri “vicini” – assurgono al rango di norma dello Stato, che, in linea con la legislazione europea, obbliga gli agricoltori ad utilizzare diserbanti e insetticidi per contrastare la diffusione di un batterio responsabile, secondo una parte (e solo una parte) della comunità scientifica, di una grave fitopatia degli olivi.
La fitopatia in questione si chiama Complesso del disseccamento rapido dell’olivo (Codiro) e il batterio, invece, si chiama Xylella. Ed è singolare che tutta la normativa finora adottata in materia, a livello nazionale ed europeo, abbia avuto ad oggetto esclusivamente la lotta al batterio Xylella e non lo studio della fitopatia Codiro, a partire dall’analisi dei suoi meccanismi di propagazione fino all’effettiva dimostrazione scientifica del nesso di causalità tra Xylella e Codiro.
Ma tant’è: per il diritto nazionale ed europeo, il Codiro “è” la Xylella (e viceversa), e questo basta, in barba agli scienziati che non si adeguano alla verità ufficiale (e che quindi rischiano di passare per complottisti, santoni o ciarlatani) e che al contrario invocano studi e ricerche in grado di favorire la resilienza delle piante d’olivo colpite dal Codiro e di permettere, in attesa di soluzioni sostenibili, la convivenza con la fitopatia.
La vicenda Xylella/Codiro, che va avanti da diversi anni, in particolare in una regione del Sud, mi ricorda tanto la vicenda del Coronavirus, che va avanti da alcuni mesi, soprattutto in alcune regioni del Nord. Nell’uno e nell’altro caso assistiamo alla celebrazione delle verità scientifiche più comode e funzionali alle scelte politiche strumentali alla salvaguardia di interessi tecnologici, industriali e di mercato, oltreché all’adozione di norme in grado di azzerare, in ultima analisi, l’autonomia e le libertà individuali. Inoltre, nell’uno e nell’altro caso assistiamo ad una rivisitazione della vecchia “strategia della tensione”, che fa leva essenzialmente sulla paura dei cittadini: paura suscitata da crisi più o meno impreviste e improvvise, le cui cause sono destinate a rimanere oscure; paura alimentata ad arte dalla grancassa mediatica; paura che monta fino a pretendere (e, ovviamente, a ottenere) risposte forti da parte della governance politica.
Così è nel caso Xylella/Codiro, dove emergono chiaramente, accanto alla strumentalizzazione delle evidenze scientifiche (stigmatizzata anche in sede giudiziaria), l’enormità del danno ambientale e sanitario provocato dai fitofarmaci, lo stupro paesaggistico causato dall’eradicazione degli olivi infetti e perpetrato tra l’indifferenza quasi generale, la penalizzazione di un prodotto d’eccellenza tipico del Made in Italy e, soprattutto, l’azzeramento dell’autosufficienza e dell’autonomia alimentare dei circa 300.000 piccoli produttori di olio (e delle loro famiglie) che “resistono”, più o meno virtuosamente, nella regione più interessata dal fenomeno.
Così è nel caso del Coronavirus, dove la voce autorevole di un Premio Nobel, che denuncia a chiare lettere la causa della pandemia, viene debitamente silenziata dai media, quegli stessi media che salutano addirittura come affermazione di libertà la “volontarietà” di un sistema di tracciamento destinato a rafforzare ulteriormente lobby e corporazioni finanziarie e non, stravolgendo le nostre vite future e trasformando definitivamente in tecnocrazia ciò che resta del sogno democratico post-bellico.
A quanti dovessero chiedersi che cosa c’entra tutto ciò con la giornata della Terra e con le api, può essere utile ricordare il monologo finale di un celebre film di un ancor più celebre attore comico, che sintetizzava tragicamente, ottant’anni fa, le derive contemporanee di cui abbiamo parlato finora: “In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca … ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori … la macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi … Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto” (Charlie Chaplin, Il Grande Dittatore, 1940).
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