È difficile negare che il Covid ha trasformato la scienza in dogmatismo o, peggio, in fideismo.
Il mantra “io credo nella scienza” – stolidamente e ossessivamente ripetuto per mesi e mesi da pseudo-scienziati da salotto televisivo e da anchorman fin troppo dispiaciuti di non poter essere considerati scienziati – non solo ci ha “sfracanato i cugghioni”, come direbbe Cetto La Qualunque, ma nasconde un macroscopico ossimoro.
La scienza, infatti, non può essere professata come una religione e “credere nella scienza” è uno slogan intrinsecamente contraddittorio: perché la scienza non ha bisogno di sacerdoti o di vestali che custodiscano il fuoco sacro per l’eternità, quanto di studiosi in grado di rimettere in discussione, oggi, i risultati scientifici acquisiti fino a ieri.
Se Richard Feynman, premio Nobel per la fisica, poteva permettersi di dire “uno dei più importanti strumenti della fisica teorica è il cestino della carta straccia”, noi, più modestamente, dovremmo prendere atto una volta per tutte e definitivamente che la “scienza” tanto ossequiata dai media – quella scienza che non ammette contraddittorio e che delegittima aprioristicamente ogni ipotesi scientifica diversa da quelle “ufficiali” – altro non è che volgare superstizione, per non dire macroscopico conflitto di interesse.
Per avere una conferma di ciò basti pensare alle star ampollose e roboanti della comunicazione scientifica meta-governativa che, come ampiamente disvelato dal Covid, costituiscono solo la punta dell’iceberg degli inciuci tra élite finanziarie, lobby tecnologiche, cordate scientifico-accademiche, oligopoli industriali e commerciali e media sul libro-paga delle multinazionali.
Un altro esempio è fornito dai fact-checkers che si muovono all’interno di quel mondo virtuale e solo virtualmente democratico costituito dai social-network. Apparentemente preposti a certificare la veridicità di una notizia, in realtà i fact-checkers non fanno altro che banalizzare, relativizzare e omogeneizzare in modo funzionale agli interessi delle élite poc’anzi citate il dibattito relativo a temi complessi e controversi, stigmatizzando chiunque metta in discussione, mediante presunte fake-news, le inconfutabili verità da essi (auto)accreditate.
Ma l’esempio più rappresentativo, e problematico, è costituito da quanti, nel mondo della ricerca scientifica pubblica, sono costretti a scegliere tra carriere in salita e controvento – all’insegna dell’onestà intellettuale, dell’autonomia culturale, del pensiero critico – e carriere di tutto riposo pianificate all’interno dei salotti buoni dell’accademia, modellate sul pensiero unico dominante e spendibili politicamente al momento opportuno.
Il Covid, comunque, non è l’unico tempio da cui professare lo scientismo, che oggi trova nuove schiere di adepti nel campo del climate change derivante – secondo la scienza “ufficiale” – dal global warming di origine antropica.
Il copione è sempre lo stesso: imputata – sulla base di evidenze scientifiche incontestabili – la pretesa emergenza ambientale, climatica ed energetica ai nostri comportamenti di consumatori imperfetti, irresponsabili e anche un po’ viziati, verremo paternalisticamente condotti per mano, perché incapaci da soli di perseguire gli obiettivi della transizione ecologica, verso l’eldorado della sostenibilità. E quando – secondo le solite inoppugnabili evidenze scientifiche fornite dal solito ineffabile scienziato da salotto televisivo – le “spinte gentili” non saranno più sufficienti a perseguire presunti comportamenti virtuosi, arriverà la mazzata imposta da norme promananti da apparati di governo sempre più organici e funzionali agli interessi mercantilisti, globalisti e transumanisti propri alle élite di cui sopra.
E allora addio diritti e libertà, in nome e per conto dei sacerdoti-scienziati (sul modello Maya) di una nuova ed esclusiva religione: esclusiva sì, ma delle nostre vite.