Probabilmente abituato a godere del diffuso e incondizionato sostegno dei media, il generale Figliuolo ha scelto una formula ben nota al cittadino-telespettatore per annunciare l’introduzione dell’obbligo vaccinale: la formula, cioè, della vaccinazione “porta a porta”, che se non prelude alla militarizzazione del Paese, poco ci manca.
È certo, invece, che il governo in carica tira dritto per la strada che porta all’obbligo vaccinale generalizzato, in ciò avvalendosi non solo e ovviamente del clima di confusione che circonda i dati scientifici relativi all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini anti-Covid, ma anche e soprattutto della volata tirata nella stessa direzione da altri Paesi “vaccinisti”, come la Francia di Macron.
Anche le esitazioni più o meno sincere di altri Stati europei risultano in realtà funzionali all’introduzione dell’obbligo vaccinale, perché è evidente che un simile andamento in ordine sparso finirà, prima o poi, per giustificare e legittimare l’intervento normalizzatore dell’Unione mediante l’adozione di una norma europea di armonizzazione (direttiva) o di uniformazione (regolamento) degli ordinamenti nazionali. In altri termini, è ovvio che avremo, prima o poi, un vero e proprio “diritto vaccinale europeo”.
In ogni caso, che il vaccino obbligatorio sia introdotto sulla base della (declinante) sovranità degli Stati o della (ipertrofica) sussidiarietà dall’Unione cambia poco, perché l’obbligo in parola sarà introdotto in spregio dei più elementari principi di bioetica e di biodiritto. Dal principio di precauzione al principio del consenso informato, dal principio di beneficienza a quello di equo accesso alle prestazioni sanitarie, dal principio del “prendersi cura” al principio di integrità morale del ricercatore: tutto è stato sacrificato in nome del feticcio-vaccino, che costituisce il confine estremo e al tempo stesso il limite invalicabile degli sforzi compiuti dagli scienziati di tutto il mondo, per ben due anni, nei confronti del virus Sars-Cov-2 e della malattia da Covid.
“Né cura, né prevenzione” sembrerebbe lo slogan adottato dagli scienziati in questione e, quel che è peggio, dal Ministro della salute italiano. Poco importa se i vaccini sono stati autorizzati solo in via «condizionata», e cioè temporanea, sulla base di un regolamento dell’Unione europea (il 507 del 2006) che si applica soltanto ai «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia» (art. 3, n. 1); poco importa se le autorizzazioni condizionate possono essere concesse solo se i medicinali in questione rispondano a «esigenze mediche insoddisfatte» (art. 3, n. 1, lett. c), condizione che non avrebbe potuto essere soddisfatta se il Ministero della salute non avesse adottato le circolari concernenti la “vigile attesa e tachipirina”, che di fatto hanno ostacolato lo sviluppo di terapie già note prima dell’introduzione dei vaccini (avvenuta esattamente un anno fa, alla vigilia di Natale 2020); poco importa se il rinnovo delle autorizzazioni così concesse (che durano, appunto, dodici mesi) può avvenire solo se il beneficiario soddisfi «l’obbligo specifico di completare gli studi in corso o di condurre nuovi studi» al fine di fornire i dati clinici che non aveva prodotto prima della concessione dell’autorizzazione medesima (art. 5, n. 1); poco importa se la domanda di rinnovo deve essere presentata «almeno sei mesi prima della scadenza dell’autorizzazione condizionata» (art. 6, n. 2), termine scaduto sei mesi fa; poco importa se l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (organizzazione distinta e separata dall’Unione europea) ha auspicato, fin dal gennaio scorso, che «nessuno subisca pressioni politiche, sociali o di altro tipo affinché si vaccini, se non desidera farlo personalmente» (risoluzione 2361 del 2021).
Poco importa tutto ciò. Come ha scritto recentemente il sociologo Laurent Mucchielli, direttore di ricerca del Centre national de la recherche scientifique francese (il secondo più importante ente pubblico di ricerca scientifica d’Europa), il vaccino è «la nuova religione dell’Occidente».
Cosa che, sebbene per il momento può sembrare anche vera, non deve stupire o spaventare più di tanto gli italiani: siamo pur sempre il Paese che in quattro e quattr’otto ha fatto sparire i crocifissi dalle aule scolastiche e di giustizia e dove un signore che per ventidue anni fu osannato dalle masse come Duce diventò, nell’arco di una sola notte, Cavaliere.