È incredibile che, proprio alla vigilia di decisioni politiche destinate a cristallizzare la dittatura tecnocratica e scientista avviata con il pretesto di una emergenza sanitaria costruita ad arte, qualcuno trovi ancora la voglia, il tempo e le risorse per organizzare convegni e seminari.
Altrettanto incredibile è che – sempre alla vigilia di decisioni politiche che esproprieranno definitivamente gli italiani dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali – ci siano decine di migliaia di persone disposte a perdere 5-6 ore del proprio tempo per seguire i suddetti convegni. Frazioni infinitesimali, certo, rispetto ai 65 milioni di anime di questo Paese; ma, molto probabilmente, le stesse persone che per anni, tramite i “social”, hanno lanciato in aria come coriandoli i dettagli più intimi di esistenze altrimenti private, salvo poi realizzare che quella privacy veniva sistematicamente violata proprio da chi forniva gli strumenti della tanto agognata “condivisione”. Che è un po’ come chiedere all’oste com’è il vino e stupirsi, poi, della tendenziosità della risposta.
Ma se l’italiano medio qualche scusante ce l’ha, è francamente singolare che gli organizzatori di questi convegni trovino anche il tempo e la voglia per creare commissioni scientifiche e comitati tecnici “ombra”, che giungono a conclusioni a dir poco sterili. Qualche esempio? Arrivare con decenni di ritardo a celebrare in modo autoreferenziale lo studio di principi e problemi che, se solo fossero stati percepiti per tempo (ma dov’erano allora tutti questi eminenti studiosi?), avrebbero scongiurato la deriva in atto. O limitarsi a chiedere agli italiani – rintronati e fagocitati da quarant’anni di televisione commerciale e venti di social media – di riscuotersi dal torpore, invece che denunciare con forza le conseguenze della politica governativa all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale (per tacere delle istanze giurisdizionali). O, ancora, presentare a un pubblico spaventato e distratto dati scientifici tanto incomprensibili e distanti dal quotidiano quanto quelli forniti da chi va sistematicamente in televisione forte dell’appoggio governativo, nel Paese dove la prima fonte di autorevolezza è proprio la visibilità mediatica: al di là, al di sopra e al di fuori dell’attendibilità di qualsivoglia dato scientifico.
Tra le giustificazioni proposte a sostegno di siffatte iniziative auto-celebrative la più ricorrente insiste sulla necessità di aprire un “dialogo” con il Governo e con i suoi vassalli accademici e scientifici: che è un po’ come auspicare il dialogo con chi ti ha bruciato i campi, scoperchiato il granaio, ucciso i cani, stuprato i figli sull’aia e ora, impunito, picchia sulla porta di casa imponendoti di uscire.
Altra giustificazione ricorrente, ancora più singolare, è la necessità di “fare rete”, superando formazioni, esperienze, ma soprattutto orientamenti politici diversi. Ed è proprio in termini politici che questi inviti al sincretismo vanno inquadrati: nei termini, cioè, di chi – vuoi per ragioni generazionali vuoi per abito mentale vuoi per abitudine alla contiguità con il potere costituito – non ha altra ambizione che lasciarsi assorbire dal sistema che, apparentemente, contesta.
Un dissenso “istituzionalizzato”, appunto. Che diventa ancora più sospetto quando tra i partecipanti alle maratone social, e non me ne vorrà chi vi prende parte in buona fede, si scorgono soggetti affiliati alle più viete logiche di potere, anche massonico.
Come faranno tutti costoro a cambiare l’Italia lo sa solo Draghi.